La storia di Marco

Il papà di Marco viene trasferito per lavoro e il ragazzo a malincuore è costretto a cambiare città.

Per lui si prospetta una nuova esperienza. Anche se il ragazzo provava un po’ di timore per la nuova scuola (perché non conosceva nessuno) aveva uno spirito ottimista verso questo nuovo momento.

Il primo di giorno di  scuola, Marco è molto agitato perché non riesce a comportarsi come avrebbe voluto, mostrando il “meglio di sé” e questa cosa accadeva spesso, poiché anche in altre occasioni si sentiva inadeguato. Per questo suo modo di essere, venne subito notato da Kevin, un ragazzo più grande che comincia a prenderlo di mira proprio durante la lezione a causa della sua difficoltà e fare amicizia.

Kevin prende il suo chewing-gum e la appiccica alla maglietta del povero Marco ma lui non reagisce, ricordandosi che sua madre gli aveva consigliato di non rispondere alle azioni cattive degli altri. La situazione persevera anche nei giorni successivi, cosa che genera in Marco un notevole stato d’inquietudine interiore.

Un giorno durante l’intervallo tornò in classe accorgendosi che mancavano delle cose all’interno del suo zaino. Guardandosi intorno e vedendo gli altri che stavano ridendo di lui, si rese conto che le cose che non trovava erano state rubate e anche nascoste  proprio da loro.

Nell’ora successiva affacciandosi alla finestra vide le sue cose sparse per strada. Alla fine della lezione quando i suoi compagni erano già andati via chiese aiuto alla professoressa, comunicandole cosa era successo ma questa gli rispose di ignorare l’accaduto e di considerarli solo semplici scherzi.

Marco era triste a causa della reazione della professoressa e quando tornò a casa si chiuse in camera  a piangere. La madre bussò alla sua porta cercando di capire, ma suo figlio non rispose.

Rimase chiuso in casa per diversi giorni quando a un tratto arrivò il suo amico Pino, che suonò il campanello e venne accolto dalla madre, che gli chiese il motivo per cui Marco non andava più a scuola ed era in quello stato.

Pino rispose, visibilmente imbarazzato, che non era successo niente e che non aveva idea del perché Marco si comportava  in modo strano. Poi salì in camera di Marco gli consegnò rapidamente i compiti salutò e andò via.

Un giorno Marco al rientro da scuola disse alla mamma che aveva smarrito il cellulare, ma era una bugia; disse anche che non lo avrebbe più voluto perché in fondo non gli serviva. La mamma con il suo intuito capì subito che le cose non stavano come gli aveva detto il figlio. Passarono i giorni e Marco era sempre scontroso, taciturno, triste, non aveva appetito e faceva molte assenze dicendo che non si sentiva bene. La situazione stava facendosi seria!!!!

La mamma che lavorava come infermiera in una clinica ebbe modo di parlare con una psicologa e le confidò i suoi timori: che il figlio secondo lei stava vivendo un disagio importante. La dottoressa consigliò alla mamma di spronare il ragazzo ad aprirsi e a fargli capire che non bisogna provare vergogna nel parlare di ciò che sta accadendo e soprattutto non bisogna credere che certe cose accadono solo a chi le subisce!

Facendo tesoro del consiglio ricevuto, una domenica mattina a colazione, approfittò che Marco era in cucina e allora prese il discorso su ciò che gli stava accadendo. Il ragazzo allora si aprì come un fiume in piena. Parlò delle persecuzioni, dei dispetti, delle offese dell’isolamento che subiva a scuola e confessò anche che il cellulare glielo aveva preso Kevin, minacciandolo di non dire nulla a nessuno altrimenti erano guai.

Marco dopo aver detto tutto ciò che stava passando si sentiva meglio, più sollevato. La mamma dopo aver preso atto che ciò che stava accadendo erano episodi di bullismo ne parlò con la dirigente scolastica, la quale prese atto del problema e attivò uno sportello di ascolto psicologico e dei corsi di prevenzione e informazione sul tema del bullismo. Nella scuola furono messi in programma degli incontri mirati a sensibilizzare tutti gli studenti su questo tema.

Marco con il tempo riuscì a superare il suo momento di disagio avvalendosi dell’aiuto sia di un esperto sia dei suoi compagni sia grazie agli incontri fatti avevano capito che: subire, stare in silenzio, vergognarsi o avere paura non serve a niente. Sembrerà strano ma anche Kevin cominciò a modificare il suo comportamento perché i suoi “scherzi” non erano più accettati, Marco era sempre in compagnia e il gruppo classe era forte e unito; il ragazzo aveva capito quando era il momento di allontanarsi da situazioni a rischio e aveva imparato a comunicare con gli altri. Anche quel bullo di Kevin aveva capito che la prepotenza a lungo termine non produceva risultati perché conduceva all’isolamento. Forse avrebbe potuto scegliere un’altra vittima o divenire vittima di se stesso, ma scelse una terza via: lavorare sulla propria autostima, allenarsi a comunicare in modo assertivo, essere solidali, difendere i più deboli, comunicare i propri bisogni e saper affrontare i problemi (problem solving).